Divorzi Stranieri
In quale modo i Tribunale Civili italiani si relazionano con i cosiddetti divorzi “stranieri”?
Lo Studio Legale Campagnolo ha cercato di dare una risposta a tale quesito, che ad oggi è diventato di sempre maggiore attualità, dato il numero crescente di coppie miste e di coppie composte da coniugi di nazionalità straniera che si rivolge alle aule dei Tribunali italiani per porre fine al proprio matrimonio.
In questo modo, i Giudici nazionali si trovano costretti a confrontarsi con le più varie richieste divorzili, mutuate dal diritto del paese di appartenenza di uno o entrambi i coniugi.
Così, è capitato che i Tribunali nazionali si trovassero a valutare richieste di applicazione del Talq, il ripudio previsto dalla Shari’a, dell’Iddà, un indennizzo, previsto dal diritto marocchino, che viene pagato alla moglie che rispetta la vedovanza in seguito allo scioglimento del matrimonio, e della Kafala, ovvero la regola secondo la quale i genitori, in accordo tra loro, al momento della separazione, possono affidare il figlio che sia residente nel Paese d’origine a parenti oppure amici.
E ancora, un Giudice padovano si è trovato a concedere e a riconoscere il Mout’a ad una donna, quale dono di consolazione per la concessione del divorzio richiesto dall’uomo, calcolato, così come previsto dal codice di famiglia marocchino, sulla base della durata del matrimonio e della situazione finanziaria del coniuge, mentre un altro Magistrato è stato chiamato a decidere circa la validità di un matrimonio celebrato in videoconferenza tra l’Italia ed il Pakistan tra due sposi che non si erano mai incontrati prima di quel momento.
Il punto di partenza per comprendere al meglio come debba avvenire la trattazione di tali circostanze da parte della Magistratura è la legge 218/1995, che disciplina il diritto internazionale privato e che è stata successivamente declinata in una serie di regolamenti europei, oggetto di studio ed approfondita ricerca da parte dello Studio Legale Campagnolo.
Tale regolamentazione, però, non si è rivelata sufficiente a far fronte all’immensa mole di quesiti e circostanze che hanno tratto origine dalle più svariate regolamentazioni derivanti dai diritti stranieri.
Da essa, in ogni caso, originano alcuni punti fermi che guidano ed orientano l’attività giudiziaria sul tema.
In primo luogo, infatti, i Giudici italiani devono sempre e comunque rifiutarsi di applicare una legge che sia contraria all’ordine pubblico, ovvero che contrasti con quelli che sono i valori fondanti della nostra società e realizzi una disuguaglianza fattiva tra coniugi, motivo per il quale i Tribunali nazionali, ad esempio, continuano a respingere con forza i concetti di “ripudio” o “poligamia”, principi cardine, invece, del diritto islamico.
Allo stesso modo, si deve tenere conto di un altro concetto fondamentale.
I regolamenti europei mutuati dalla legge 218/1995, in particolar modo il 1259/2010, che offre un quadro giuridico chiaro e completo su quale sia la legge nazionale da applicare al divorzio e alla separazione personale, travalicano i confini dell’Europa, risultando così applicabili a qualsiasi soggetto, di qualsiasi nazionalità esso sia, purché la domanda di divorzio sia presentata al Giudice di uno Stato che aderisce al predetto regolamento.
Pertanto, per comprendere quale sia l’ambito di applicazione dello stesso, sarà necessario considerare non la nazionalità dei divorziandi, bensì quella del Giudice a cui viene presentato il ricorso per l’ottenimento del divorzio.
Quelli sopra espressi, però, restano principi generali ed il fatto che diverse delle decisioni emanate dai Tribunali Civili Italiani vengano impugnate sino ad arrivare alla Corte di Giustizia Europea rende chiaro quanto l’attuale regolamentazione non sia ancora in grado di sciogliere i numerosi dubbi e porre un freno alle incertezze in materia.
Alcune questioni, infatti, le quali sono state oggetto di approfondimento da parte dello Studio Legale Campagnolo, risultano tuttora pendenti, come nel caso di una coppia di coniugi, i quali hanno presentato separatamente richiesta rispettivamente di separazione in Italia e di divorzio in Romania.
Il Giudice romeno, adito in un momento successivo a quello italiano, avrebbe dovuto dichiarare la sospensione del procedimento, ma, nel caso di specie, ha optato per la prosecuzione dello stesso e la pronuncia di una sentenza di divorzio, facendo di fatto cessare il procedimento di separazione in Italia.
Ad oggi è innegabile che le falle nel sistema siano ancora numerose e tali da richiedere in svariate circostanze uno studio ad hoc delle singole questioni; quanto detto non può che spostare l’attenzione sulla necessità di una nuova regolamentazione della materia, che purtroppo, però, è ancora ben lungi dal vedere la luce.