Uno scrittore di fantascienza americano lo aveva previsto: negli anni 2.000 il suono del pianoforte o del juke – box sarebbe stato soppiantato da un unico, insistente, petulante squillo, declinato nelle più svariate suonerie: quello del cellulare.
Se negli anno ’80 del precedente secolo si affacciavano sul mondo delle comunicazioni i primi personal computer, se negli anni ’90 si apriva l’era di Internet, il XXI secolo è il trionfo dello smartphone.
In un mondo virtuale e sempre connesso, i rapporti di coppia sono destinati a subire un cambiamento profondo.
Non soltanto ci si conosce e ci si innamora virtualmente, ma anche il rapporto col partner può essere messo in crisi proprio dall’illimitata offerta di occasioni per fare nuovi incontri su chat, facebook e wazzup.
Il cellulare così, da indispensabile strumento di comunicazione, diventa veicolo per tradimenti.
Spiare il cellulare del partner è tuttavia un reato. Solo un Pubblico Ministero può infatti esibire tabulati, sms e conversazioni private in rete.
Ciò limita di molto l’ambito operativo di un investigatore privato.
Questo non significa, tuttavia, che il partner, una volta entrato in possesso del telefonino, non riesca, anche con l’aiuto di un detective, a decifrarne il contenuto, se non altro per quanto riguarda fotografie e conversazioni su wazzup, senza contare che l’accesso a facebook è ancor più immediato: basta rientrare nella cerchia di amici per i quali ne è visibile il profilo.
In caso contrario, si può incorrere in una serie di reati, il principale dei quali è l’accesso abusivo a sistema informatico o telematico. Ai sensi dell’ art 615 ter c.p., infatti, chiunque s’introduca abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, ovvero vi si mantenga contro la volontà espressa o tacita di colui il quale abbia diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
La Cassazione si è occupata recentemente del tema (Cass. Sez. V penale, n. 3414/2019), in relazione all’accesso alla chat del partner.
Si trattava di un marito il quale, per addurre prove rilevanti in sede di separazione, aveva effettuato un accesso abusivo al profilo skype della moglie.
Giova rimarcare come tale profilo fosse già aperto sul computer, il quale si trovava in casa totalmente incustodito.
Sebbene la password fosse stata salvata al momento dell’accesso abusivo al sistema, i giudici della Suprema Corte hanno rimarcato come non solo il sistema fosse munito di dispositivi di sicurezza, ma anche che, sempre ai sensi dell’art. 615 comma ter c.p. , la legge punisce anche chi si mantiene all’interno del sistema contro la volontà espressa o tacita di chi abbia diritto di escluderlo.
Spiare le conversazioni in chat fra la moglie ed il presunto amante è reato, sebbene, nel giudizio de quo, l’uomo avesse preso cognizione delle immagini e delle foto intime della moglie per usarle in sede di separazione, e non per divulgarle.
Il portare a conoscenza di terze persone il contenuto di corrispondenza informatica o telematica a sé non diretta può costituire un caso evidentissimo di condotta integrante la fattispecie di cui all’art. 615 comma ter c.p.
Il codice penale rimarca, in questa sede, l’antigiuridicità degli accessi protetti da sistema informatico.
Il bene giuridico tutelato è la riservatezza delle comunicazioni o delle conversazioni protette da sistema informatico o telematico; ne consegue che la violazione dei dispositivi di protezione del sistema informatico assume valore solo in quanto manifestazione di volontà contraria a colui il quale può legittimamente disporre di tale sistema.
Se questi comportamenti pervasivi del coniuge, una volta scoperti, possono ingenerare imbarazzo ed anche paura, è pur vero che oggi l’accesso alle chat avviene prevalentemente tramite telefonino, e dunque le occasioni per il partner di prendere contezza di contenuti riservati al fine di provare il tradimento si moltiplicano.
Anche strappare di mano il cellulare costituisce reato. Si tratta, in effetti, di una forma di rapina, la quale integra gli estremi di cui agli articoli 628 comma 1 e 363 c.p.
Si può trattare di rapina propria ( art. 628 co.1 c.p.), qualora essa si traduca in un impossessamento del cellulare con violenza o minaccia, ossia allorquando si sia esercitata violenza fisica ovvero pressione psicologica in un momento anteriore all’impossessamento e funzionale a questo.
Si può trattare invece di rapina impropria, allorquando si adoperi violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, ovvero per procurare a sé o ad altri l’impunità.
Si può trattare, infine, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, allorquando il soggetto non voglia procurarsi un ingiusto profitto, bensì solamente esercitare le proprie ragioni, ad esempio allorquando ritenga di poter legittimamente impossessarsi del cellulare per controllare foto, facebook o wazzup.
Ricorre la fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni anche allorquando, al fine di vantare un diritto che possa costituire oggetto di una pretesa giudiziale, in autotutela si eserciti violenza o minaccia, come nel caso di un marito tradito che voglia procacciarsi le foto del tradimento sul telefonino.
Quindi, se ad esempio il marito strappa di mano il cellulare alla moglie per controllare le foto su istagram, si configurerà una fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni; qualora, invece, il marito voglia ottenere una separazione a condizioni economiche più vantaggiose (fattispecie che non può in alcun modo essere tutelata in sede giudiziale) si configurerà il reato di rapina.
In un altro caso al vaglio della Cassazione la moglie aveva ripreso i propri effetti personali col telefonino, e successivamente il merito si era appropriato del cellulare.
Questa condotta è stata dalla Suprema Corte stigmatizzata: anche se il marito avesse ritenuto che la condotta della moglie integrava una qualche forma di inosservanza dei doveri coniugali, egli non avrebbe potuto ottenere altro che un risarcimento.
L’esercizio di un diritto, quale quello all’integrità del rapporto coniugale, ovvero alla fedeltà, non giustifica mai nel partner una condotta violenta, o una minaccia, e può integrare gli estremi della rapina, se esercitata col mero intento di impossessarsi del cellulare per leggerne il contenuto dei messaggi che la persona offesa ha ricevuto da un terzo.
Questa peculiare fattispecie lede il diritto alla riservatezza e comprime la libertà di autodeterminazione del partner.
Si può trattare, ad esempio, della condotta di un soggetto il quale abbia strattonato la fidanzata per leggere il contenuto dei messaggi.
Oggi, grazie allo smartphone tradire è divenuto assai più facile. Tuttavia, anche provare il tradimento del proprio partner è più agevole che in passato.
I mezzi offerti dalla tecnologia sono, infatti, molteplici: dall’ispezione avanzata del telefono cellulare, al furto dei dati, all’esame di chat e rubrica telefonica, wazzup ed e – mail
Il cellulare diventa così parte delle dinamiche di coppia, e invece dovrebbe rimanere in quella sfera, intima e personale, riservata al privato, che ciascuno dovrebbe poter mantenere, lontano dalla pervasiva gelosia del proprio partner.
Si consiglia in ogni caso un uso maturo delle nuove tecnologie offerte sui cellulari e dei social media. In caso contrario, il cellulare ha un effetto dirompente sui legami affettivi, e può legittimamente assurgere a nuova frontiera del tradimento, come testimoniano le orma innumerevoli cause di separazione che lo vedono protagonista.
di Roberto Campagnolo,
avvocato, patrocinante in Cassazione.