La corte di Cassazione penale, con sentenza n. 2512/2021, confermando la sentenza della corte d’Appello di Bologna, ha disposto la condanna di un padre per stalking nei confronti della figlia, affidata alla madre.
In primo e secondo grado, infatti, il padre veniva condannato per atti persecutori nei confronti della figlia, ed anche ad un risarcimento in denaro.
La motivazione risiede nelle condotte assillanti del genitore, tali da ingenerare ansia e stress nella figlia.
Pare che il padre si presentasse agli eventi conviviali o sportivi della figlia, spesso senza preavviso alcuno, provocandole imbarazzo difronte ai suoi coetanei.
Indubbiamente, trattasi di un approccio errato alla “professione” di genitore.
A nulla rileva, secondo la Cassazione, che la figlia abbia continuato a praticare attività sportiva, e che il suo rendimento scolastico non sia peggiorato.
I comportamenti assillanti del padre generavano nella figlia sentimenti di vergogna e di inadeguatezza.
L’uomo si presentava agli amici della figlia senza preavviso alcuno, procurando loro imbarazzo. A seguito di questi episodi la figlia, minorenne, avrebbe sofferto di ansia e di angoscia.
Il padre sosteneva che le sue intenzioni fossero quelle di ricucire il rapporto con la figlia dopo lo “strappo” della separazione dalla madre. Egli, inoltre, sottolineava come la figlia avesse un buon rapporto con i propri coetanei.
I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto, invece, la condotta del padre disturbante e persecutoria, tale da ingenerare ansia e turbamento nella figlia.
Un genitore che assilla i figli, dunque, secondo la Cassazione, è uno stalker, e come tale deve risarcire il danno morale provocato alla vittima.
Questa sentenza rappresenta un caso peculiare di un più generale stalkeraggio familiare, il quale, il più della volte, è diretto verso la moglie, di talché i figli diventano solamente un pretesto per perseguitare la ex.
Per la Cassazione, infatti, non occorre minacciare, pedinare e commettere atti vandalici in danno dei beni della ex per fare il padre.
Se il padre assilla la propria ex compagna con la scusa di vedere il figlio trattasi di staliking, e a nulla vale che il padre abbia posto in essere condotte vessatorie spinto dall’intenzione di esercitare il proprio diritto – dovere di genitore.
Il reato di atti persecutori è previsto dall’articolo 612 del codice penale, e riguarda tutte le condotte reiterate con cui un soggetto minaccia la persona offesa in modo da ingenerare uno stato di ansia e paura, tale da temere per l’incolumità propria o di un proprio congiunto, ovvero di una persona legata da una stabile relazione affettiva, o tale che la vittima sia costretta a modificare le proprie abitudini di vita.
Si può trattare di condotte vessatorie e reiterate minacce di morte alla famiglia, ovvero di atti vandalici contro l’auto della compagna etc… etc…
La nuova formulazione del codice penale è volta ad ovviare ad un vacuum legislativo: un tempo, in assenza di un’esplicita previsione legislativa, tali condotte a dolo generico rientravano nei reati di minacce, anche aggravate.
Lo stalking è reato comune, solo aggravato dai rapporti di parentela.
Esso tutela anzitutto la libertà morale della vittima, la quale deve essere in grado di autodeterminarsi.
Il bene protetto, di rango costituzionale, è anzitutto quello della salute: lo stalking, infatti, ha un effetto destabilizzante sull’equilibrio psichico della vittima, ingenerando stress, ansia e paure, ovvero spingendo il soggetto a modificare le proprie abitudini di vita, nel tentativo di recuperare la propria tranquillità.
Le condotte possono essere di minaccia, o anche semplicemente di molestia.
Lo stalker, tuttavia, può diventare pericoloso, fino a danneggiare cose o minacciare di morte.
In un rapporto affettivo, lo stalking può essere un modo per vendicarsi del torto subito dall’ex.
Se, ad esempio, i continui pedinamenti alla ex moglie ed al figlio non sono motivati dal desiderio di rivedere quest’ultimo, bensì sono un pretesto per seguire la donna, che si era rifatta la vita con un nuovo compagno, il marito non può addurre come scriminante l’interesse od il bene del figlio. Su questo punto esiste una consolidata giurisprudenza della Cassazione.
Con l’avvento delle nuove tecnologie il reato di stalking si è profondamente modificato. Esso spesso si configura in illeciti che possono interessare la polizia postale, quale l’invio di lettere minacciose od ingiuriose, e – mail, messaggi tramite internet o wazzup, post e video a contenuto minaccioso, a sfondo sessuale o ingiurioso su social network.
Un reato specifico è lo stalking telefonico, che consiste nel fare ripetute telefonate, mute, ovvero a contenuto ingiurioso o minaccioso.
Anche poche telefonate sono sufficienti ad integrare il delitto, se non gradite.
Spesso la vittima viene stalkerizzata sul luogo di lavoro, qualora sia oggetto di atti persecutori in quell’ambiente peculiare ove si svolge gran parte della sua vita sociale.
Dal punto di vista del dolo è sufficiente il dolo generico, ossia la volontà di porre in essere fenomeni di stalking, con la consapevolezza di stare compiendo minacce e molestie idonee a cagionare un grave danno all’equilibrio psicofisico della persona offesa.
In buona sostanza, il soggetto attivo del reato deve avere contezza della fattispecie delittuosa, che andrà sviluppandosi in itinere man mano che si avrà la condotta persecutoria.
Gli atti persecutori devono avere anzitutto un effetto destabilizzante sull’equilibrio psicofisico della vittima; non occorre, invece, il verificarsi di uno stato patologico effettivo: in tal caso il reato di stalking concorrerà con quello di lesioni, costituite da una malattia fisica, mentale o psicologica.
Il reato di atti persecutori può anche consistere nel mutamento delle abitudini della persona offesa, essendo necessario solamente che questa modifichi le proprie abitudini di vita.
Così, il Giudice potrà individuare esattamente i comportamenti che lo stalker deve tenere, a protezione della persona offesa, quali l’obbligo di mantenere una certa distanza, ovvero il divieto di avvicinamento.
Ciò non toglie che lo stalking rilevi in quanto concernente la sfera, intima e relazionale, della persona offesa in quanto tale.
Perché si possa addivenire ad una pronuncia di addebito, dunque, hanno rilievo soprattutto le dichiarazioni della vittima, stando il fatto che il foro interno della persona offesa non è sindacabile.
Prima del provvedimento giudiziale ci può essere un semplice ammonimento del Questore a continuare l’attività di stalking.
Il reato di stalking, tuttavia, è visto unicamente dal lato della vittima.
Nell’ottica del diritto di famiglia, sarebbe invece opportuno osservare le dinamiche relazionali, quale ad esempio il diritto del padre (o della madre) a poter vedere il figlio quando lo desidera, poiché spesso è proprio il rifiuto del genitore collocatario alla frequentazione del minore con l’altro coniuge, quasi un ricatto, a motivare il comportamento persecutorio.
In tali casi non vi è stalking per difetto dell’elemento psicologico.
Una frequentazione equilibrata e continuativa del genitore non affidatario è nell’esclusivo interesse del minore, anzi è prodromica ad una serena ed amichevole separazione.
Il figlio ha infatti diritto ad un comportamento maturo e responsabile di entrambi i genitori, mentre la condotta persecutoria va ad incidere sul rapporto madre – figlio, che dovrebbe essere lasciato del tutto libero.
Nel reato di atti persecutori, dunque, è fondamentale l’elemento soggettivo, quale lo stato di profondo turbamento nella vittima e l’intenzione di cagionare tale stato d’animo del persecutore.
In caso contrario, il desiderio dell’ex genitore di vedere il figlio funge da scriminante, quale esercizio di un diritto ovvero adempimento di un dovere.
Rivela dunque la sfera soggettiva, intima e personale perché si possa configurare il reato di stalking.
Insistere per vedere i propri figli non è stalking. Desiderare di vedere la figlia affidata alla madre dal Tribunale non può in nessun caso motivare il reato di stalking.
Nella valutazione del caso, dunque, è opportuno procedere in maniera graduale.
Modalità di approccio errate del padre nei confronti dei figli possono non essere state comprese appieno.
Pedinamenti, telefonate ossessive e messaggi sulle chat, invece, possono senza dubbio essere stigmatizzati.
Rileva anche l’eventuale casualità ed occasionalità dei comportamenti a carattere persecutorio.
Soprattutto, bisogna andare a scandagliare la volontà del soggetto attivo: se manca l’intenzione di porre in essere condotte persecutorie e quindi se manca il dolo lo stalking va escluso.
Dal lato della persona offesa, invece, rileva l’imbarazzo ed il disagio della vittima per le condotte ossessive, lo stato di ansia e di paura, il senso di vergogna.
In conclusione, lo stalking è un reato a dolo generico, di recente formulazione ed aperto alle innumerevoli possibilità offerte dalle nuove tecnologie per il suo manifestarsi, il quale è posto a tutela di un bene di rango costituzionale quale la salute psicofisica della vittima.
Il foro interno della persona offesa del reato è preminente nello scandagliare l’effetto dirompente che il reato ingenera sulle dinamiche psicologiche, affettive, sociali e relazionali della vittima, ed in ciò risiede la sua modernità, ma anche la difficoltà di un’applicazione puntuale ed attenta.
Da ultimo, giova spezzare una lancia a favore dello stalker: per prevenire il fenomeno, specie qualora questo si verifichi all’interno di dinamiche familiari o affettive, è opportuno chiarire quali sono le motivazioni e le ragioni profonde che hanno portato l’autore del reato ad un comportamento estremo. Non sempre, infatti, tali motivazioni sono ben comprese in sede di disamina giudiziale.
Un reato così nuovo e moderno, e capillarmente diffuso, sposta il baricentro del diritto penale contemporaneo verso il soggetto più che verso l’oggetto del reato, ed in ciò sta la sua sconvolgente attualità.
Il sistema di giustizia penale deve dunque basarsi su indagini socio – psicologiche, ma queste (ed in ciò si recupera l’elemento oggettivo) devono fondarsi su dati di fatto.
In tal modo, lo stalking può essere prevenuto ed anche contrastato, a protezione e tutela di un bene di rango costituzionale quale la salute psicofisica della vittima, negli ambiti nei quali si svolge la sua vita affettiva e di relazione.
di Roberto Campagnolo
Avvocato, patrocinante in Cassazione