Preconcordato Fallimentare

un nuovo istituto per evitare il fallimento

avv. R. Campagnolo

 

Legge 11/9/2012 n. 134

 

– Il preconcordato. Per accedere al preconcordato l’azienda in difficoltà deve depositare in Tribunale la domanda di concordato e gli ultimi tre bilanci.

– Aziende intoccabili. In questa fase (che dura 60 giorni, estendibili in casi eccezionali a 180) l’azienda deve preparare il piano del concordato e non è aggredibile dai creditori: nel frattempo prosegue l’ amministrazione ordinaria, mentre per gli atti di amministrazione straordinaria serve il via libera del Tribunale.

– Accordi e fallimento. Se entro il termine stabilito dal Tribunale l’ impresa non deposita una proposta di concordato (o in alternativa accordo di ristrutturazione stragiudiziale) su istanza di un creditore o del Pubblico Ministero e accertata l’ insolvenza arriva il fallimento.

Il fallimento dell’ imprenditore è normalmente connotato da un alone negativo, soprattutto in considerazione del rischio insolvenza [1].

Intraprendere la strada del concordato è rischioso, e persino i creditori temono di essere attratti nel fallimento.

Oggi come oggi, tuttavia, il quadro legislativo è mutato, a condizione che il fallimento sia riconosciuto subito e senza dilazioni, utilizzando, se del caso, anche il meccanismo del controllo della contabilità.

Più in particolare, ai sensi dell’ art. 67 comma 3 lettera d) l. fall. si deve procedere ad una riconsiderazione della parte più qualificata della compagine creditoria, attraverso la predisposizione di un piano di risanamento, che consenta la stabilizzazione degli atti fallimentari.

La legge n. 134/2012, di fatto, ha apportato una serie consistente di innovazioni nelle procedure di gestione della crisi d’ impresa: piani attestati, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo. Tutti metodi basati sulla negoziazione debitore – creditori.

La riforma del diritto fallimentare ha dunque introdotto nel nostro Ordinamento un modello di gestione della crisi dell’ impresa che privilegia le soluzioni negoziali (cd. “ privatizzazione della crisi “).

Il piano di risanamento è atto interno del debitore; tuttavia esso diventa vincolante nei confronti del terzo creditore il quale ne sia venuto a conoscenza anteriormente all’ atto di disposizione del credito.

Il piano dovrebbe altresì assicurare la trasparenza finanziaria, riequilibrando il rapporto fra passività e attività.

Predisporre il piano finanziario rientra nei dettagli operativi di management.

Quello che necessita il manager che si occupi di gestire il piano finanziario è di avere un quadro corretto e completo del risultato aziendale, scevro dalle imposte e dagli oneri finanziari. Per far questo, egli deve anzitutto valutare la stratificazione finanziaria, quale risulta a bilancio [2], predisponendo a tal fine un EBIT e un EBITDA.

L’ EBIT è, infatti, l’ espressione del risultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanziari; il suo acronimo inglese è Earnings Before Interests and Taxes.

Se nella formulazione degli indici di bilancio esso è utilizzato per ottenere il ROI (return on investment, dato da EBIT/ capitale netto), ed è indice della redditività del capitali complessivamente investiti in azienda, a prescindere dalla loro provenienza, la funzione informativa dell’ EBIT, nel nostro caso, si esplica prevalentemente nell’ esprimere il reddito che l’azienda è in grado di generare, prima della remunerazione del capitale, latamente inteso.

L’ EBIT è collocato nel Conto Economico Riclassificato, e va confrontato con l’ EBITDA, in inglese Earnings Before Interests Taxes Depreciation and Amortization, detto anche MOL (margine operativo lordo)

Quest ultimo è un indicatore che evidenzia il reddito di un’ azienda basato sulla sua gestione caratteristica, al lordo, quindi, di interessi (gestione finanziaria), tasse (gestione fiscale), deprezzamento dei beni e ammortamenti.

l’EBITDA è molto simile al valore dei flussi di cassa prodotti da una azienda, e quindi fornisce l’indicazione più significativa al fine di valutarne il valore.

EBIT e EBITDA sono legati dalle seguenti relazione in termini di bilancio:

FATTURATO – COSTO PRODOTTO VENDUTO –

COSTO SERVIZI = VALORE AGGIUNTO.

VALORE AGGIUNTO – COSTO DEL PERSONALE = MARGINE OPERATIVO LORDO (MOL o EBITDA).

MARGINE OPERATIVO LORDO – AMMORTAMENTI = MARGINE OPERATIVO NETTO (MON o REDDITO OPERATIVO o EBIT).

Il MOL permette ai manager, ma anche agli analisti finanziari, di vedere chiaramente se l’ azienda è in salute, ed in grado di generare ricchezza al netto della gestione finanziaria, la quale non sempre fornisce una percezione corretta del risultato aziendale.

Più in particolare, le perdite operative sono espressione di un vero e proprio dissesto aziendale, poiché segnalano una crisi economica in stadio molto avanzato, non altrimenti risolvibile se non con pesanti interventi di riconversione e di ristrutturazione, mentre la perdita di solidità patrimoniale è di per sé un grave fenomeno di deterioramento dell’ equilibrio aziendale.[3]

Le crisi che concernono più specificamente il settore produttivo possono essere determinate da un’ inefficienza riferita all’ azienda nel suo complesso, per l’ aggravamento dell’ incidenza dei costi sui ricavi.

Spesso è necessaria una completa ridefinizione dell’ orientamento strategico dell’ impresa, con conseguente rimozione di inefficienze operative nella fase logistica, in quella produttiva, in quella distributiva, in quella amministrativa.

Tramite questi strumenti contabili e gestionali è dunque possibile per il manager avere un quadro che consenta di gestire il piano finanziario in maniera chiara e completa.

Tale visione, infatti, è la sola che permetta di accertarsi se l’ azienda abbia un margine per la ripresa della normale attività [4].

Il piano strategico può contemplare il ricorso a strumenti finanziari straordinari, come una ricapitalizzazione, versamento da parte dei soci di somme a fondo perduto, vendita di determinati assets, etc…

Riclassificando il conto economico si può, ad esempio, individuare possibili inefficienze in alcuni settori cd. “ strategici “ dell’ impresa.

Allo stesso modo, la riclassificazione dello stato patrimoniale, evidenziando i debiti a medio e lungo termine e il capitale netto, mostra la composizione della struttura patrimoniale dell’ impresa, e consente di rilevare eventuali disfunzioni, quale l’ eccessiva rigidità degli investimenti, oppure un non corretto rapporto investimenti /capitale di proprietà, indice di un margine di struttura negativo.

Il piano deve essere attestato da un professionista iscritto nella lista dei revisori contabili; e’ comunque solo una volta approvato dai creditori, in genere selezionati (e spesso solo del gruppo bancario), che il piano di risanamento acquista una valenza di vera e propria convenzione.

In tal modo, l’ impresa evita il fallimento, ed ha la possibilità di recuperare in un determinato arco di tempo la piena operatività; i creditori che hanno sottoscritto l’ accordo beneficiano della non revocabilità degli atti, pagamenti e garanzie prestate e contemplate nel piano e nella convenzione.

Inoltre, quando si entra nel preconcordato fallimentare tutti i crediti maturati vanno in prededuzione e saranno i primi ad essere pagati.

Ora l’impresa in regime di preconcordato può più agevolmente pagare alcuni crediti (previamente congelati), cedere beni o richiedere nuovi finanziamenti.

Questa procedura è più snella e veloce che nel passato, soprattutto poiché non è prevista l’omologa da parte del Tribunale.

Ciò è possibile a meno che il piano di risanamento non sia successivamente dichiarato inefficace, e si apra il fallimento. Tale rischio è sempre concreto, e in caso di grave dissesto è dunque preferibile il ricorso all’ art. 182 bis l. fall., o addirittura al concordato preventivo, entrambe gli istituti richiedenti, ad ogni buon conto, l’ omologa da parte del Tribunale. Si ritiene che il piano di risanamento sia riconducibile alla categoria dei “piani industriali e finanziari “ di cui all’ art. 2381 c. c., per i quali è prevista l’ attribuzione all’ organo di gestione. Questi sarà sempre responsabile per l’ adozione e l’ esecuzione del piano. Il manager incaricato della predisposizione del piano si avvarrà sovente di un consulente esterno, soprattutto in caso di adozione di un piano particolarmente complesso. Egli comunque apporterà le proprie competenze di businness per comprendere il contesto esterno (trend macroeconomici, mercato, settore ecc…) ed interno (organizzazione e processi dibusinness), oltre al possesso di requisiti contabili e di competenze in materia di diritto societario e fallimentare, per ridurre i rischi dell’ imprenditore in caso d’ insolvenza. Il piano deve essere redatto nella precipua prospettiva della continuità aziendale, e la sua durata, stimabile in 3 – 5 anni, deve essere finalizzata al recupero delle reali potenzialità di risanamento e riequilibrio aziendale. Anche nel caso in cui la procedura sfoci in un concordato che determini la liquidazione è comunque possibile salvare e cedere rami d’azienda. In merito al contenuto del piano, esso deve essere volto a consolidare un indirizzo strategico, con formulazione della diagnosi ed indicazione della terapia, a partire dalla situazione patrimoniale, economica, finanziaria, organizzativa, di mercato. L’ attestatore analizzerà il piano, e più in particolare verificherà la sua intrinseca coerenza. Particolarmente interessante, a questo proposito, è la cosiddetta sensitivity analysis, ossia l’applicazione di scenari alternativi (migliorativi o peggiorativi) sulla scorta di eventuali modifiche alle assunzioni di base. L’andamento del piano, infine, va attentamente monitorato, onde verificare il raggiungimento, ante obiettivo, di tappe fondamentali (milestones), che indichino il corretto procedere operativo. Nel caso in cui si verifichino scostamenti significativi rispetto al piano, può rendersi necessaria una revisione; infine qualora il piano non possa più essere eseguito nei tempi e modi prefissati, gli atti di disposizione successivi alla verificazione dello scostamento non godranno più della esclusione dalla revocatoria [5].

con la cortese collaborazione dell’ avvocato G. Nazzari

 


[1] Giorgio Meo : I piani “ di risanamento “ previsti dall’art. 67 l. fall, in Giurisprudenza Commerciale, 1, 2011

[2] Significativo al riguardo il documento dell’ Organismo Italiano di Contabilità, dal titolo: “ ristrutturazione del debito ed informativa di bilancio “, in cui viene correttamente inquadrato il problema della rilevazione contabile dei processi di ristrutturazione.

[3] P. Bastia, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, Torino, 1996, 143 ss; A. Danovi, Crisi d’ impresa e risanamento finanziario nel sistema italiano, Milano, 2003, 13-

[4] Ferro, Commento all’ art. 67 co. 3 lett. d, in La legge fallimentare, Commentario teorico – pratico a cura di Ferro, Padova , Cedam, 2007, 476;

Stasi, I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare, in Il Fallimento, 2006, 861; Ambrosini, Intervento alla tavola rotonda su “ gli accordi di ristrutturazione e il piano di risanamento” in “il nuovo diritto delle crisi d’ impresa “, a cura di Jorio, Milano, Giuffrè, 2009, 92.

[5] Reply consulting: “ il piano ex art. 67 co 3° lett. d) l. fall: criticità e punti di attenzione “.