Recensione Rosso – Mark Rothko

L’art advisor dr Bianca Maria Campagnolo ha recensito una commedia teatrale, patrocinata dal Comune di Milano, su Rothko.

Rosso

di Bianca Maria Campagnolo, Milano.

Mark Rothko (Dvinsk, 1903 – New York City, 1970) è stato uno dei maggiori esponenti della scena artistica americana. La sua ricerca artistica lo portò a dedicarsi al colour field, ovvero campo colorato, una branca dell’espressionismo astratto caratterizzata dai “campi di colore” più o meno uniformi. L’artista era un uomo coltissimo, interessatosi da sempre alla letteratura, alla filosofia, alla musica, alla teologia e alla matematica: ciò pervade completamente lo spettacolo, dove il pittore afferma che non è possibile fare arte senza possedere cultura: “non è possibile dipingere senza avere letto Nietzsche”. Lo spettacolo ci riporta uno sguardo sulla maturità dell’artista, al quale, già nel pieno della fama, il ristorante di lusso Four Season aveva commissionato una serie di opere per arredare le sue sale.

Lo spettatore viene subito trasportato nella trascendenza dell’arte di Rothko: le opere dell’artista sono sempre grandissime, il lavoro è lento, misurato, pensato.

Lo stile del colour field viene utilizzato dall’artista dalla fine degli anni Quaranta quando egli intuì che era inutile rappresentare le figure perché i fondi colorati portavano già a una riflessione spirituale ed emotiva.

L’artista si scopre e si rivela attraverso il rapporto con il suo assistente-discepolo, in un susseguirsi di dialoghi che ricordano la maieutica socratica. Vengono toccati tutti i temi principali della sua arte tra cui la filosofia, la metafisica del colore e l’importanza della luce, di cui Rothko aveva quasi un’ossessione. Viene anche citato Pollock, che insieme a Rothko rappresenta uno dei due volti dell’espressionismo astratto americano in una contrapposizione tra apollineo e dionisiaco: Pollock è Dioniso, il caos, la sregolatezza, l’impulsiva agitazione, mentre Rothko è Apollo, la spiritualità, la meditazione, l’ordine.

Le riflessioni, unite agli scoppi d’ira, si susseguono nel dialogo tra i due personaggi, tutti inscenati nello studio di Rothko, perfettamente ricostruito. La tragicità della vita è sempre presente,insieme alla paura che “il nero inghiotta il rosso”, quel nero ci osserva per tutto lo spettacolo, e sarà quello che porterà l’artista alla sua fine.

Rothko intimidisce, emoziona, è burbero, aggressivo e prepotente ma nasconde una sensibilità profondissima. Lo spettacolo mostra come quest’uomo, dal grande orgoglio e dai forti principi, non riuscirà a cedere le proprie opere a un ristorante di lusso: scisso tra la spiritualità dell’arte e la legge di mercato, rifiuterà la più grande commissione della storia dell’arte contemporanea. Le opere di Rothko sono molto più adatte a un ambiente spirituale e meditativo: gli viene non casualmente commissionato dai collezionisti De Menil il lavoro di dipingere un’intera cappella, a Houston: egli accetterà. Rothko completò l’impresa ponendo alle pareti dalla pianta ottagonale grandi quadri di colore scuro. Si suicidò poco tempo dopo aver terminato.

Lo spettacolo “Red” ha grande fama in America: è stato presentato con successo al Golden Theater di Brodway e al Donmar Warehouse di Londra e ha vinto 6 Tony Award nel 2010. L’autore è sceneggiatore di molti capolavori cinematografici: The Aviator, Hugo Cabret, Sweeney Todd, Lincoln.

Grazie alla traduzione di Matteo Colombo e alla impeccabile regia di Francesco Frongia anche il pubblico teatrale italiano può godere di questo raffinatissimo spettacolo: non può non emozionare e fare riflettere l’interpretazione dei due protagonisti Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña. Le luci di Nando Frigerio immergono nel clima meditativo e spirituale dell’artista, tanto che allo spettatore sembrerà di essere entrato davvero nello studio di Rothko, almeno per la durata dello spettacolo.