Non sono io l’erede…?
La petizione di eredità
L’articolo 533 c.c. stabilisce che l’erede, legittimo o testamentario, può chiedere il riconoscimento della qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi.
L’azione delineata dal predetto articolo prende il nome di petizione di eredità, si tratta di un’azione reale e di condanna e può essere esperita nel caso in cui l’erede scopre che i beni da lui ereditati si trovano, in tutto oppure in parte, in possesso di un altro soggetto, il quale ritenga di essere erede legittimo oppure stia possedendo senza alcun titolo, ponendo in essere un sopruso.
In entrambi i casi, il legittimo erede avrà la possibilità di richiedere l’intervento del giudice, attivando una causa al fine di ottenere sia l’accertamento della propria qualità di erede contro colui che possiede i beni ereditati, sia la restituzione dei beni spettatigli.
Al fine di potere adire il Tribunale, in ogni caso, oltre al possesso dei beni ereditari da parte di un terzo, è necessario disporre di alcuni requisiti.
Innanzitutto il soggetto richiedente deve avere già effettuato l’accettazione dell’eredità, espressa o tacita che sia.
Chi esercita l’azione di petizione ereditaria sarà tenuto a provare solamente la propria qualità di erede (dunque l’esistenza di una valida vocazione ereditaria in proprio favore) e l’appartenenza dei beni oggetto dell’azione all’asse ereditario.
L’azione di petizione è un’azione imprescrittibile, il che significa che può essere esperita in qualsiasi momento dopo l’apertura della successione, senza timore di dover rispettare alcun limite di tempo, con l’unica eccezione degli effetti dell’usucapione sui beni. Se dopo l’apertura della successione e prima dell’azione di petizione il possessore ha acquistato la proprietà dei beni tramite usucapione, infatti, l’erede non ne potrà più chiedere la restituzione, ma affinché gli effetti in questione si realizzino è necessario, con riferimento ai beni immobili, un possesso ininterrotto da parte del terzo della durata di 20 anni.
Se, a seguito dell’azione di petizione, il richiedente sarà riconosciuto quale legittimo erede dei beni oggetto di petizione, la parte convenuta in giudizio dovrà restituirli.
Sul punto, occorre precisare che l’obbligo di restituzione si atteggia diversamente a seconda che il terzo abbia posseduto i predetti beni in buona fede o in mala fede.
Se egli era in buona fede, dovrà restituire solo i frutti percepiti dai beni posseduti a far data dal giorno della domanda giudiziale.
Se il possessore, sempre in buona fede, ha ceduto i beni ereditari a terzi soggetti, dovrà restituire all’erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto. Se il prezzo o il corrispettivo è ancora dovuto, l’erede subentra nel diritto di conseguirlo. In questo caso, però, in accordo con l’articolo 534 c.c., i diritti acquistati dai soggetti terzi a titolo oneroso sono fatti salvi, a patto che essi provino di avere contrattato nella più totale buona fede.
Nell’ipotesi di buona fede, in ogni caso, il possessore non è tenuto al risarcimento del danno nei confronti dell’erede in quanto, appunto, il suo possesso è in buona fede e privo di colpa grave.
Al contrario, se il possessore era in male fede, cioè era a conoscenza del fatto che il bene spettasse ad altri, egli dovrà restituire non solo i beni nello stato in cui li ha ricevuti, ma anche gli eventuali frutti percepiti e quelli che avrebbe potuto percepire dal giorno in cui ha cominciato a godere dei beni, usando la normale diligenza.
Se egli ha alienato i beni, dovrà restituire all’erede il loro valore reale, anche se superiore al prezzo ricevuto per l’alienazione e inoltre, in ogni caso, sarà tenuto al risarcimento del danno.
Anche in questo caso, comunque, non sarà possibile eliminare i diritti a titolo oneroso acquisiti dai soggetti terzi che fossero in buona fede.