La pandemia ha largamente sovvertito il nostro modo di vivere la vita quotidiana. Il coronavirus, che ha scardinato la quotidianità delle persone, ha favorito invece, in senso lato, il diffondersi della criminalità organizzata, attraverso appalti lucrosi ed appetibili alla mafia, e rendendo endemico il problema delle condizioni igieniche nelle carceri sovraffollate, di talché sarebbe opportuno invocare un tempestivo provvedimento di amnistia e indulto.
I d. p. c. m. attuativi dei Decreti Legge con i quali in Governo ha disciplinato, e continua tuttora a disciplinare, la fase emergenziale debbono conservare un principio di adeguatezza e proporzionalità nella diffusione del virus, e contenere riferimenti a quanto proposto dalla comunità scientifica internazionale, con rinvio alle fonti sovranazionali.
Indubbiamente, i provvedimenti atti a contrastare la diffusione del virus devono essere reiterabili ed avere diffusione su tutto il territorio nazionale.
A fronte di rischi oggettivamente differenti su tutto il territorio nazionale, inoltre, i provvedimenti debbono essere diversi da regione a regione per contrastare il virus.
Ad esempio, vi è la limitazione alla circolazione delle persone all’interno e fuori dal proprio comune per motivi di necessità e di urgenza. I provvedimenti devono essere puntuali, e valutati per ogni singolo tempo ed episodio di applicazione. La misura della quarantena precauzionale deve essere riservata ai soli casi di malattia da Covid accertata, o in caso di contatti stretti con persone malate. Le manifestazioni e gli assembramenti di gente in luogo pubblico e privato devono essere vietati, e sospese le attività ludiche e ricreative. Qualsiasi attività d’impresa, compreso il lavoro autonomo, deve essere attuata nel rispetto delle distanze di sicurezza, onde prevenire il contagio.
Infine, devono essere adottate misure a carattere generale, quali il contenimento del rischio epidemiologico e adeguate misure di informazione e di prevenzione rispetto al manifestarsi delle epidemie. Tali misure, stante l’elevata gravità del rischio, risultano strategiche per la pubblica incolumità. Possono essere adottati provvedimenti quali la sorveglianza di massa tramite il tracing , ma, al tempo stesso, deve essere garantita la riservatezza. Certamente, vi è la necessità di tracciare gli spostamenti di merci e persone, e l’obbligo di dimora negli ambienti domiciliari per le persone contagiate e a rischio d’infettare gli altri, ma devono essere garantiti gli inviolabili diritti dell’uomo e il decisivo rispetto per la vita privata. Così, se la tecnologia moderna consente l’aggancio delle celle telefoniche per monitorare gli spostamenti delle persone infette (da noi ciò è possibile tramite un’applicazione che si chiama immuni), il contenimento dell’infezione si deve accompagnare al rispetto per la privacy.
Lo stato di emergenza, infatti, non è mai stato costituzionalizzato. Ciò, probabilmente, onde evitare abusi.
E’ previsto un intervento in via d’urgenza della protezione civile in caso di catastrofi naturali, ma la decretazione do emergenza risulta di stretta interpretazione, e mal si presta ad una situazione di rischio globale.
Il diritto alla salute è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, ed è riconosciuto e tutelato dalla nostra Costituzione come diritto fondamentale della persona umana e interesse della collettività. A garanzia di questo diritto è il SSN, che disciplina diritti del malato e obblighi di assistenza sanitaria. Esso non può e non deve confliggere con l’interesse collettivo alle libertà personali, anch’esso costituzionalizzato.
Scienza e diritto s’incontrano, all’epoca del coronavirus. Così, in tema di pandemia, lo stesso sistema giuridico, nell’esplicarsi dei suoi divieti, deve essere integralmente ripensato.
La Costituzione riconosce un diritto all’accesso alle prestazioni sanitarie. In situazioni normali si tratta di un diritto pienamente esigibile; in condizioni di emergenza può diventare impossibile attuarlo.
Per quanto riguarda i vaccini, tema di strettissima attualità, il Governo è ancora in bilico fra rendere obbligatoria la vaccinazione, tutelando in tal modo un preminente interesse della collettività, ovvero garantire la libertà di autodeterminazione del singolo, rendendola facoltativa.
Il rapporto tra interesse collettivo e libertà costituzionali ha avuto un decisivo risvolto di grande attualità e di immediata applicazione con riferimento alla libertà di circolazione, suo fondamento ed eventuali limiti. Così, al tempo del Coronavirus è stato definito l’ambito del lockdown, in bilico tra libertà e restrizioni. Per la pandemia tutto il mondo ha vissuto momenti drammatici. L’impatto dirompente di una situazione di emergenza globale è stato gestito, in Italia, con misure draconiane, che hanno fatto ripiombare il nostro Paese in una globale zona rossa, con conseguente blocco delle attività e ritiro sociale. A fronte della tutela alla salute, dunque, si è sacrificato persino il diritto/dovere di svolgere (non da remoto) un’attività lavorativa, su cui la Repubblica si fonda.
La salute non è semplicemente assenza di malattia, ma completo benessere psicofisico. In effetti, lo svolgimento di un’attività fisica non pericolosa, realizzata rigorosamente in solitario e senza alcuna interazione fisica con l’ambiente, non avrebbe aumentato il rischio di contagio.
La pressione sulle strutture ospedaliere dovuta alla pandemia, specie in terapia intensiva, ha posto delicatissimi problemi di natura etica.
I medici, infatti, si sono trovati a dover scegliere necessariamente a chi destinare con preferenza le cure. Siamo ai limiti dell’eugenetica, il che non è assolutamente ammissibile in uno Stato di diritto.
Al tempo del virus moltissimi, infatti, sono ricorsi al cosiddetto triage, strutturato secondo classi di urgenza crescenti in base alla gravità delle lesioni riportate.
In occasione di eventi catastrofici spesso si sacrifica il paziente meno grave per consentire al paziente in condizioni generali critiche di beneficiare più a lungo del trattamento. Altre volte, invece, si cede alla tentazione di destinare le cure ai più giovani, sacrificando i più anziani e debilitati che hanno scarse possibilità di sopravvivenza.
Per questo, è necessaria un’azione mirata anche da parte del Governo centrale, che potenzi l’assistenza ospedaliera, garantendo adeguate cure mediche a tutti pur in situazione di emergenza sanitaria, e tuteli altresì, riconoscendole l’altissimo valore sociale, la professionalità di medici e infermieri.
La norma della Costituzione che tutela e garantisce il diritto alla salute è una norma precettiva, non programmatica. Per questo, in assenza di un’esplicita riserva di legge, e nella cornice di due Decreti legge emessi dal Governo, è plausibile che sia proprio il potere esecutivo ad agire, con il necessario rigore e determinatezza, per fare fronte all’emergenza pandemica.
Nei rapporti fra cittadini e Stato, tuttavia, il diritto costituzionale alla salute è condizionato finanziariamente, cioè il SSN deve fare i conti con la compatibilità economica di ogni spesa sanitaria.
Stante questo nucleo irrinunciabile di tutela costituzionale, il cittadino non adeguatamente protetto e salvaguardato dai rischi della pandemia può agire contro lo Stato o la Regione, per responsabilità oggettiva a prescindere dalla colpa.
Gli spazi che la nostra Costituzione concede all’articolo 32 sono sottili e del tutto immateriali: essa deve essere necessariamente interpretata.
Difronte a provvedimenti legislativi e decisioni governative guidate dal criterio della ragionevolezza, stanno le valutazioni scientifiche degli esperti.
Il diritto alla salute è parte integrante dei diritti umani fondamentali, ed è riconosciuto e apprezzato in tutti gli Stati del mondo, tramite la necessaria vigilanza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nei primi mesi della pandemia l’eccezionalità dell’eventi e la necessità di fronteggiare il diritto alla salute avevano comportato la soppressione o la limitazione di alcune libertà fondamentali, come quella di circolazione o di riunione.
Investita del problema, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sentenziato che la privazione della libertà deve essere l’ultimo e più drastico step che deve essere compiuto, e bisogna cercare altre modalità d’intervento, quale ad esempio l’isolamento di persone con residua positività.
Contro il lockdown generalizzato, che deve essere sempre un’ extrema ratio, devono essere applicate limitazioni mirate e contingentate nel tempo.
Il rapporto intercorrente fra sicurezza e libertà a fronte della compressione di diritti costituzionalmente garantiti ha costituito subito il punto di fragilità del sistema – gestione delle emergenze. Sotto il profilo legislativo, deve essere ancora ben chiarito, e proprio
con riferimento a situazioni di emergenza come queste, il rapporto fra riserva di legge assoluta, riserva di legge relativa e attuazione regolamentare.
Si discute se, in piena emergenza, la riserva di legge atta a fronteggiare la pandemia sia assoluta, ossia si tratti di una materia soggetta solamente ad una legge ordinaria, oppure relativa, nel senso che possa, pur nel quadro di una previsione legislativa, essere disciplinata con una normativa di fonte di rango secondario.
Il lockdown ha richiesto una gestione emergenziale basata sul principio della ragionevolezza. A causa di esso, infatti, sono stati inibiti i diritti di circolazione, di riunione, le funzioni religiose, l’incontro in luoghi di preghiera e i pubblici assembramenti, le udienze in Tribunale. Si auspica che tale sospensione di prerogative garantite dalla nostra Carta fondamentale non si risolva in una delega in bianco alla Presidenza del Consiglio.
Per i principi fondanti il nostro sistema giuridico deve essere considerato intangibile e involabile il dogma della certezza del diritto.
In caso contrario, una volta superata la fase emergenziale e le misure stringenti che le forze di polizia hanno dovuto affrontare per fronteggiare la pandemia, senza una norma chiara e certa di riferimento i poteri governativi potrebbero essere prorogati indefinitamente come in una sorta di “limbo giuridico” pericolosissimo.
In conclusione, se è importantissimo dotare l’Italia di un sistema sanitario all’altezza della situazione, sia sotto il profilo clinico che sotto quello di ricerca e sperimentazione, è altrettanto importante che il nostro Ordinamento regga alla prova dei fatti, stante il rango primario che il bene – salute deve rivestire e riveste in ogni Paese civile.
di Roberto Campagnolo, avvocato, patrocinante in Cassazione.