1 . La nuova famiglia.
Sentenza Cassazione Prima Sezione Civile, n. 4184/12
sul ricorso 19306 – 2007 avverso il decreto della Corte d’Appello di Roma n. 5305/05.
Dott. Maria Gabriella Luccioli – Presidente .
Dott. Salvatore Di Palma – Relatore Consigliere.
Dott. Vittorio Ragonesi – Consigliere.
Dott. Maria Rosaria Cultera – Consigliere.
Dott. Maria Cristina Giancola – Consigliere.
Abstract
Chiamata a giudicare se la Repubblica Italiana riconosca e garantisca a persone dello stesso sesso, al pari di quelle di sesso diverso, il diritto fondamentale di contrarre matrimonio, la Suprema Corte ha affermato che, sebbene i componenti della coppia omosessuale, in stabile relazione di fatto – secondo la legislazione italiana – non possano far valere né il diritto a contrarre matrimonio, né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia essi sono titolari di un “ diritto alla vita familiare ”, e, in quanto tali, hanno diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata.
Svolgimento del processo.
In data 1 giugno 2002 i ricorrenti, entrambi cittadini italiani, hanno contratto matrimonio all’Aja (Paesi Bassi).
Successivamente, in data 12 marzo 2004, gli stessi hanno chiesto al Sindaco del comune di Latina – ove risiedevano – la trascrizione dell’atto di matrimonio. Tale richiesta è stata rigettata essendo, in motivazione, detto atto di matrimonio, formato all’estero, non suscettibile di trascrizione perchè contrario all’ordine pubblico.
Avverso il provvedimento di rifiuto della trascrizione gli stessi hanno proposto ricorso al Tribunale ordinario di Latina il quale – in contraddittorio con il Sindaco del comune di Latina e con il Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale – con decreto 10 maggio 2005 ha respinto il ricorso.
I medesimi ricorrenti hanno proposto reclamo avverso tale decreto dinnanzi alla Corte d’Appello di Roma, la quale con decreto del 16 luglio 2006 ha rigettato il ricorso.
Motivazioni della decisione d’appello.
Rigettando quanto al motivo di reclamo, secondo il quale si sosteneva che la trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero fosse atto dovuto e, per così dire, “ automatico ”, avendo essa, ai sensi dell’art. 17 d.p.r. n. 396 del 2000, natura meramente certificativa e dichiarativa, la Corte d’Appello adìta ha ribadito che, per la trascrizione, si richiede la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge italiana per quanto riguarda lo stato e la capacità delle persone,.
Pur ammettendo che, specie negli ultimi tempi, l’istituto del matrimonio ha avuto nel contesto sociale, sia nazionale che sovranazionale, una notevole evoluzione, la Corte ha affermato come non sia allo stato rinvenibile, nell’Ordinamento nazionale, una siffatta fattispecie, essendo la diversità di sesso dei nubendi presupposto indefettibile insito nella comune accezione e nella tradizione sociale e giuridica dell’istituto matrimoniale.
Più in particolare, la Corte compie una breve disamina del dibattito sull’argomento in sede di Comunità Europea, richiamandosi, in tal senso, alle Risoluzioni del Parlamento Europeo 8 febbraio 1994, 16 marzo 2000, 14 luglio 2001 e 4 settembre 2003 sul tema dei diritti degli omosessuali, nonché alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il cui art. 9 garantisce il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, ma “secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, non vietando né imponendo dunque le unioni tra persone dello stesso sesso.
Motivazioni dei ricorrenti in Cassazione.
Violazione degli artt. 2, 3, 10, 11 Cost. , art. 9 e 10 Carta di Nizza; art, 18 D.P.R. 396/2000 .
I ricorrenti hanno preliminarmente dedotto la non contrarietà all’ordine pubblico ( interno ) della pubblicità del detto vincolo matrimoniale contratto all’estero, perchè altrimenti si sarebbero determinati effetti palesemente discriminatori.
Violazione degli artt. 2, 3, 29 Cost. ; art. 12 disp. prel ; 107, 108, 143, 143 – bis; 143 – ter, 156 – bis cod. civ ; art. 28 L. n. 218/1995.
I ricorrenti hanno criticato il decreto impugnato nella parte in cui si considera “ inesistente ” il matrimonio tra persone dello stesso sesso, adducendo ancora una volta il principio di non discriminazione e il diritto a costituirsi una vita familiare.
Violazione degli artt. 9 Carta di Nizza ; art. 8 e 14 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; artt. 2 , 3, 10, 2 co. Cost; 107, 108, 143, 143 – bis, 156 – bis cod. civ.
I ricorrenti hanno dedotto come l’orientamento sessuale, condizione personale sulla quale non si può fondare alcun trattamento deteriore, sia stato assunto a presupposto per un’ evidente discriminazione.
Motivazioni della Suprema Corte.
All’ufficiale di stato civile sono dalla legge attribuiti penetranti poteri di controllo sui presupposti e sull’eventuale contrarietà all’ ordine pubblico della trascrizione del matrimonio contratto all’estero.
Secondo costante giurisprudenza della Cassazione la diversità di sesso è requisito indispensabile per la stessa “ esistenza ” del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante [1]. La diversità di sesso sta come “ postulato ” implicito a fondamento dell’istituto, come emerge dall’art. 107, primo comma, cod. civ. , nonché dall’art. 108 cod. civ. ( i quali prevedono che l’Ufficiale di stato civile celebrante riceva da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie ) .
Tale postulato non è arbitrario, bensì è fondato su antichissime e condivise tradizioni culturali, che risalgono addirittura ai romani classici.
A distanza di quasi due millenni, la stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ( 1948 ) richiama il matrimonio fondato sull’unione di un uomo e di una donna.
Al riguardo la Corte Costituzionale, chiamata a decidere, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 117 1 co. Cost. , la questione di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 – bis, 156 – bis cod. civ. , nella parte in cui non consentono che persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio, con la sentenza n. 138 del 2010 ha dichiarato la questione non fondata in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ ultimo in relazione con gli artt. 12 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea [2].
La Corte Costituzionale ha in sostanza affermato che la coppia omosessuale ha diritto a vivere liberamente la propria condizione; ciò comporta che i singoli ( o entrambi ) i componenti di una coppia omosessuale abbiano diritto di chiedere, a tutela di specifiche situazioni, un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata, pur senza che questo comporti il diritto al matrimonio della coppia di persone dello stesso sesso. Da qui discende la conseguenza, condivisa dalla prevalente giurisprudenza di Cassazione nonché dalla dottrina maggioritaria, che l’atto mancante di tale requisito sia inesistente.
Già da tempo, tuttavia, la mutata coscienza sociale suggerisce un’ interpretazione “ evolutiva ” del fenomeno, con conseguente rilettura dell’ art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’ art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Tale indirizzo deve essere recepito nel nostro Ordinamento, in forza dell’ art. 117, primo comma Cost. , secondo il quale “ la potestà legislativa é esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ Ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali ”.
Più in particolare, per quanto concerne la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nelle “ spiegazioni “ di cui al commento all’art. 9, è esplicitamente affermato come detto articolo non vieti né imponga la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso.
Giova rilevare, comunque, che lo stesso art. 9 della Carta, nel riconoscere “ il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia “, riserva tuttavia ai singoli Stati membri dell’ Unione la garanzia di tali diritti.
Ciò nonostante, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza 24 giugno 2010 [3], pronunciata in un caso analogo, ha statuito, all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’art. 12 e, a maggioranza, che non vi è stata violazione dell’art. 14, in relazione all’art. 8, della Convenzione.
Tuttavia, in un importantissimo obiter dictum, la Corte adìta ha affermato come il presupposto della diversità di sesso, stante il mutato contesto socio – culturale, non sia più operante, esortando ( ed al tempo stesso demandando ) i singoli Stati membri a riconsiderare la questione.
Tale principio, secondo la Cassazione, deve essere recepito in quanto protetto e garantito dall’art. 2 Cost .
Secondo il combinato disposto delle sentenze delle due Corti[4], conclude la Cassazione, non è possibile né lecito il matrimonio tra persone dello stesso sesso, né tale negozio, pur se contratto all’estero, é trascrivibile; tuttavia la coppia omosessuale è titolare del diritto ad una “ vita familiare ”, nonché del diritto a vedersi riconosciuto in specifiche situazioni un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata: “ L‘ intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende infatti non più dalla loro “ inesistenza “ e neppure dalla loro “ invalidità “, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’Ordinamento italiano “.
Commento alla sentenza
Sentenza innovativa, coraggiosa, che si inserisce sulla scia di un fermento di rinnovazione che ha investito i Paesi europei e non solo, e che scuote i fondamenti stessi della civile convivenza.
Bene ha statuito la Suprema Corte: il matrimonio è atto solenne antichissimo, e ben radicato nella nostra cultura giuridica dal diritto romano.
Nell’ Ordinamento romano il matrimonio è “iustum si inter eos qui nuptia contrahunt connubium sit, et tam masculus pubes quam femina potens sit, et utrique consentant, si sui iuris sunt, aut etiam parentes eorum, si in potestate sunt ” [5].
La sussistenza di questi elementi, tuttavia, non è sufficiente perché si abbiano iustae nuptiae: occorre, perchè si perfezioni il negozio, il requisito della materiale convivenza (affectio maritalis). In buona sostanza, il matrimonio romano si differenzia dal matrimonio moderno per essere una situazione di fatto, da cui l’Ordinamento fa discendere effetti giuridici.[6]
Paradossalmente, dunque, una nozione antichissima per il diritto quale quella del matrimonio, pur essendo comunque istituto rivestito di forma solenne, si perfeziona e si basa su una situazione di fatto, quella permanente della convivenza.
Ecco dunque da una concezione risalente uno spunto modernissimo !
I dati quantitativi e qualitativi indicano che, in Italia, diversamente dai Paesi del nord Europa, le convivenze sono, in genere, un passaggio verso il matrimonio.
Il fenomeno è comunque notevole, specialmente nelle fasce di età più giovani e nell’Italia del centro – nord, e merita attenzione, soprattutto per la necessità di sostenere le giovani coppie nel loro progetto di famiglia [7].
Con lo stesso nome “ coppie di fatto “ si comprendono situazioni molto diverse.
La diversificazione più notevole è tra coppie omosessuali ed eterosessuali, ma non è l’unica possibile.
La famiglia di fatto ( o more uxorio ) nasce, secondo il sociologo Marzio Barbagli [8], come reazione alla crescente instabilità coniugale, ma sta diventando sempre più spesso un’ alternativa al matrimonio.
Il ruolo della donna all’interno di queste unioni è profondamente cambiato: la natura flessibile delle stesse permette una maggiore intercambiabilità di genere, consente alla donna il lavoro extradomestico e di posticipare la nascita di un figlio [9].
Sulla natura della famiglia di fatto la dottrina è divisa, e la sua divisione risente delle posizioni ideologiche degli Autori.
Il Legislatore, fino ad oggi, si è limitato a prendere posizione su alcune questioni che riguardano la famiglia di fatto considerata solo sotto profili particolari, il più importante dei quali riguarda il rapporto di filiazione naturale.
Questa situazione di incertezza si riflette anche sugli orientamenti della giurisprudenza, che si attesta su posizioni contrastanti.
Ben si inserisce dunque la suddetta sentenza della sezione prima civile della Cassazione nel filone dell’innovazione giurisprudenziale.
Essa si basa su due concorrenti “ pilastri ” : l’intervento della Corte Costituzionale n. 138 del 2010, nonchè quello della Corte di Giustizia della Comunità Europea 24 giugno 2010.
La Suprema Corte colloca tali pronunce nella realtà italiana, dove la millenaria tradizione cattolica consente di avere solo atteggiamenti di cautela e prudenza.
E difatti la Cassazione mostra di tenere in giusto rispetto codesta tradizione, ma, anziché sussumerla sotto il concorrente profilo dell’inesistenza del negozio giuridico contratto tra due persone dello stesso sesso avente per oggetto la convivenza more uxorio, si limita a prendere atto dello status quo legislativo, sollecitando, anzi, nuove pronunzie della Corte Costituzionale, e dunque nuove questioni sollevate dal giudice a quo.
Notevole è la presa in carico del mutato orientamento della Corte di Giustizia della Comunità Europea, la quale, secondo l’ interpretazione della Cassazione, avrebbe rimosso la condizione della diversità di sesso quale presupposto indefettibile per la celebrazione e/o la trascrizione del matrimonio, aprendo in tal modo alle unioni omosessuali.
In passato, la Carta fondamentale dell’Unione Europea si limitava a non prendere posizione sulla questione, non vietando, né del resto incoraggiando, le unioni omosessuali.
Quello che è mutato, e che ha consentito questa scelta così decisa, che costituirà certamente un importante precedente, è il comune sentire, mutuato anche dalle ( pur diverse ) risoluzioni dei singoli Stati membri ( quasi tutti hanno oramai affrontato l’argomento, propendendo ora per il matrimonio, ovvero ( più spesso ) per una sorta di contratto che regoli la convivenza tra persone dello stesso sesso ).
La Cassazione non nasconde che la specifica questione processuale attiene non tanto alla trascrizione di un atto, quanto all’implicito postulato che due persone di sesso diverso possano contrarre matrimonio.
Le precedenti pronunce della Suprema Corte erano tutte orientate nel considerare la diversità di sesso requisito minimo indispensabile per la stessa “ esistenza “ del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante . [10]
Del resto, l’ intera disciplina dell’istituto, contenuta nel codice civile e nella legislazione speciale, richiede la diversità di sesso fra i coniugi.
La categoria dell’inesistenza ( la cui prima elaborazione risale ai canonisti medioevali ) impedirebbe qualsiasi effetto giuridico dell’atto di matrimonio, a differenza del matrimonio nullo che qualche effetto, seppure interinalmente, può produrre [11], se non fosse stata recepita dalla Cassazione, con questa innovativa sentenza, l’ interpretazione evolutiva del diritto comunitario ( vigente in quanto regolamento ) espressa dalla Corte di Giustizia che ha d’un colpo cancellato tale postulato.
Il problema della contrarietà di siffatta unione all’ ordine pubblico interno è quindi, a detta della Cassazione, mal posto, in quanto la questione della riconosciblità dell’ unione tra persone dello stesso sesso come atto di matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano esime, conseguentemente, il Collegio dall’affrontare la diversa e delicata questione dell’eventuale intrascrivibilità di questo genere di atti per la loro contrarietà all’ ordine pubblico.
La decisione della Corte di Giustizia si fonda su un’interpretazione decisamente evolutiva dell’art. 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea .
Dai vincoli derivanti allo Stato italiano dall’ Ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, in forza dell’ art. 117, primo comma, Cost., secondo il quale “ la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ Ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali “, discende il necessario recepimento della caduta del postulato della diversità di sesso nel nostro Ordinamento.
Il secondo “ pilastro “ su cui si fonda la decisione della Cassazione è la sentenza n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale, chiamata a decidere, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 177, primo comma Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143 – bis, 156 – bis cod. civ., nella parte in cui , sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale non possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso ( questione sollevata in una fattispecie analoga al caso in esame).
La questione sollevata in relazione agli artt. 3 e 29 Cost. è stata dichiarata non fondata, perchè è espressamente contemplata dal nostro codice civile l’unione solo tra persone di sesso diverso.
Ecco dunque che la rimozione del postulato della diversità di sesso come presupposto indefettibile del matrimonio “ cozza “ contro quanto statuito e previsto dal Legislatore italiano.
Una diversa valutazione costituirebbe atto di ermeneutica “ creativa “, come tale inammissibile, così come inammissibile è stata dichiarata la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 2 Cost., perchè volta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata.
La Corte Costituzionale ha precisato che, sì, il concetto di famiglia “ costituzionalizzato “ è quello previsto e contemplato dal Legislatore nel codice civile; tuttavia non si possono non tenere presenti l’evoluzione della società e del costume.
Il problema si pone a livello di Costituzione materiale, quella cioè che recepisce i mutamenti del costume sociale ed etico di un Paese; tuttavia queste nuove ed importanti affermazioni non devono fare propendere per una costituzionalizzazione, con riferimento all’art. 2 Cost., del diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso.
L’affermazione veramente importante contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale è, invero, il riconoscimento dell’ unione omosessuale come formazione sociale nella quale può espletarsi il diritto e la libertà del singolo.
La Suprema Corte sottolinea, altresì, come tale riconoscimento abbia portata assai più ampia del riconoscimento del diritto al matrimonio, tutelando la libertà dell’individuo nelle molteplici relazioni sociali in cui si svolge la vita di coppia.
Per un verso, dunque, questa sentenza della Corte Costituzionale “ prova troppo “ , per un altro verso essa non apre al matrimonio omosessuale, stante l’attuale legislazione italiana.
Tuttavia, ben può accadere che, in relazione a ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia omosessuale e quella della coppia coniugata, trattamento che la Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza ( così come è già avvenuto per le convivenze more uxorio) [12].
Infatti, il problema della coppia omosessuale che aspiri ad un riconoscimento legale di tale unione è solo la punta di un iceberg nel variegato arcipelago della nuova famiglia di fatto, fenomeno riscontrabile anche e soprattutto tra persone di sesso diverso [13].
Mentre molto si è fatto per garantire ed equiparare i figli naturali a quelli legittimi, posizione questa raggiunta già con la riforma del diritto di famiglia del 1975, l’assegnazione della casa di vita comune è ormai certa per l’ex convivente affidatario di figli minori [14], mentre il convivente non proprietario cui non siano stati affidati i figli è tenuto a rilasciare la casa familiare [15].
Secondo la Corte Costituzionale, le singole persone componenti una coppia omosessuale sono titolari del diritto fondamentale di vivere liberamente la loro condizione; essa auspica che il Parlamento possa intervenire, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, a tutela di specifiche situazioni, come è già avvenuto per i conviventi eterosessuali more uxorio.
Questione completamente differente è l’equiparazione dell’ unione omosessuale al matrimonio: la Corte Costituzionale ha escluso che il diritto fondamentale di contrarre matrimonio sia riconosciuto dall’art. 2 della nostra Costituzione a persone dello stesso sesso.
Orbene, poichè, a detta della Suprema Corte, la specifica fattispecie oggetto di giudizio, cioè la trascrivibilità o meno, nei registri dello stato civile italiano, di un atto di matrimonio di cittadini italiani dello stesso sesso, è ” del tutto estranea alle materie attribuite alla competenza dell’ Unione Europea” , ne consegue che sia riserva, anche ai sensi dell’ art. 9 della Carta, dei singoli Stati membri dell’ Unione garantire o meno tale diritto.
L’art. 9 della Carta, inoltre, lascia decidere ai singoli Stati se permettere o meno i matrimoni omosessuali, pur ammettendo che non vi sia, attualmente, “ alcun ostacolo al riconoscimento delle unioni omosessuali nel contesto del matrimonio”.
Infatti, il matrimonio risente nelle proprie connotazioni sociali e culturali dell’etica dello Stato di appartenenza, nonché del suo vivere sociale, pur nel mutato contesto secondo il quale la nozione di famiglia non è più limitata alle relazioni basate sul matrimonio, posizione questa accolta dalla suprema Corte con deciso renvirement rispetto a costante giurisprudenza secondo la quale la relazione emotiva e sessuale di una coppia omosessuale avrebbe costituito solo “ vita privata “, ma non vita familiare.
Così, pur essendo stato ormai rimosso, nell’ Ordinamento comunitario, l’ostacolo al matrimonio costituito dalla diversità di sesso, ed essendo ormai accettata quale unione familiare la convivenza tra omosessuali, la domanda dei ricorrenti non può essere accolta, non perchè il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia inesistente, né perchè esso sia contrario all’ Ordine pubblico, bensì, semplicemente, perchè la legislazione italiana non lo prevede.
E’ ben noto, infatti, come nell’Ordinamento italiano il matrimonio possa trovare applicazione solamente quando i nubendi appartengano a sessi diversi[16].
Ciò non toglie che la coppia omosessuale abbia diritto ad una “ vita familiare “, e possa avere diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato alla copia coniugata.
Spetterà alla giurisprudenza creatrice, dunque, sussumere le istanze innovatrici della costituzione materiale, in modo che anche la legislazione si possa evolvere, pur nel solco della tradizione, per venire incontro alle mutate esigenze del vivere civile.
Allo stato attuale esistono tre progetti di legge allo studio del nostro Parlamento, e specificamente l’Atto Senato n. 594, firmatario Poretti, avente ad oggetto “ modifiche al codice civile in materia di diritto a contrarre matrimonio “ ; l’ Atto Camera n. 2131, firmatario Perduca e Poretti, avente ad oggetto “ modifiche al Codice Civile in materia di uguaglianza nell’ accesso al matrimonio “ e l’ Atto Senato n. 2263, firmatario Poretti, avente ad oggetto la “ riforma del diritto di famiglia “, di cui non è ancora iniziato l’esame, mentre sono già stati assegnati alla Commissione Giustizia l’ Atto Camera n. 1064, firmatari Bernardini e Beltrandi, avente ad oggetto “ modifiche al Codice Civile e all’articolo 3 della Legge 1 dicembre 1970 n. 898, in materia di diritto a contrarre matrimonio e di eguaglianza giuridica fra i coniugi “; l’ Atto della Camera n. 1630, firmataria Concia, avente ad oggetto “ modifiche al Codice Civile in materia di testamento biologico, di disciplina di diritto di famiglia e della fecondazione assistita, al Codice Penale in materia di omicidio del consenziente e di atti di violenza o di persecuzione psicologica all’interno della famiglia, nonché al Codice di procedura civile in materia di disciplina della domanda di divorzio “.
Numerose sono, dunque, le iniziative rivolte ad ottenere una regolamentazione delle unioni civili (ad esempio attraverso l’istituzione di un registro ad hoc); ratio sottesa ai vari progetti, comunque, è quella di estendere il più possibile il cosiddetto favor familiae a tutte quelle relazioni basate su affetto, solidarietà e, naturalmente, convivenza, evitando così una eventuale compressione del principio di eguaglianza, con conseguenti rischi di forti discriminazioni.
La sentenza della Cassazione n. 4184/2012 rappresenta un coraggioso recepimento delle sentenze comunitarie, mixate con la realtà sociale più attuale, in un empito di giurisprudenza creatrice che mostra il definitivo superamento di un diritto di famiglia arroccato su posizioni retrograde, ed, al tempo stesso, l’apertura di orizzonti un tempo inimmaginabili. Una fine e un inizio. |